E’ in programma mercoledì 11 maggio, alle ore 18.30, nella Sala “Rosa del Vento” della sede della Fondazione Banca del Monte di Foggia (Via Arpi 152), la presentazione dell’ultimo libro di Romano Luperini La rancura (Mondadori, 2016).
L’appuntamento è organizzato in collaborazione dalla Fondazione Banca del Monte, dal comitato di Foggia della “Società Dante Alighieri” e dall’associazione “Magna Capitana-Amici della Biblioteca di Foggia”.
Luperini fu ospite della Fondazione Banca del Monte di Foggia nel corso della seconda edizione di “Colloquia”, nel 2010: nel festival delle idee di quell’anno, si parlava di “Evoluzione – Involuzione – Metamorfosi”
A dialogare con l’autore, mercoledì prossimo, saranno Rossella Palmieri e Daniela Zazzera.
IL LIBRO
Rancura. La parola –rocciosa, ruvida, restia a dichiararsi– è usata da Montale per descrivere il sentimento che ogni figlio prova, in forme diverse, nei confronti del padre, per misurarsi con lui, per comprenderlo, per raccoglierne l’eredità spesso scomoda.
È in questa prospettiva umana, lungo quasi un secolo di storia italiana, dal fascismo a oggi, che tre generazioni di padri e di figli attraversano le pagine del romanzo di Romano Luperini.
Tre protagonisti. Il padre è Luigi Lupi, maestro elementare e figlio di contadini, che dopo l’8 settembre combatte in Istria alla guida di una formazione partigiana, vivendo i giorni più nitidi ed eroici della propria esistenza, in una zona di confine segnata dapprima dai crimini di guerra dei generali italiani e poi dall’odio antitaliano e dalle foibe.
Il figlio è Valerio, docente universitario e militante comunista che partecipa al Sessantotto e al tentativo di creare in Italia un partito rivoluzionario negli anni di piombo.
Il figlio del figlio, Marcello, è un quarantenne che da Londra torna in Italia negli anni di Berlusconi e del “Grande fratello” per vendere la casa paterna nella campagna toscana. In questa casa trova un diario del padre e, in esso, emozioni, fragilità e desideri insospettabili.
In questo romanzo i figli scoprono – a volte con sgomento, a volte con fastidio – tracce impreviste dei genitori (foto, appunti, lettere, diari, somiglianze fisiche) che provocano in loro reazioni di sfida, di ammirazione, di nostalgia o di odio, ma comunque un impulso a meglio conoscerli. Perché, per quanto incolmabili siano le distanze e forti i segni di disillusione e disimpegno che marcano il mondo presente, a resistere nel passaggio delle generazioni è la volontà di comprendere, di cercare un qualche senso della vita, di raccontare la propria versione dei fatti.
È quanto Romano Luperini fa in questo grande “romanzo-bilancio”, con una scrittura asciutta e nervosa nel memoriale bellico, venata di lirismo nella descrizione dei paesaggi toscani, serrata eppure lacerata da scorci improvvisi e inquietanti nella messa in scena delle contraddizioni e del disincanto di questi rancorosi eroi (o, forse meglio, antieroi) della contemporaneità.
Romano Luperini
Nato a Lucca il 6 dicembre 1940, vive in Toscana. Critico letterario. Insegna Letteratura italiana presso l’Università di Siena ed è professore aggiunto all’Università di Toronto; dirige le riviste di teoria e critica della letteratura Allegoria e Moderna. «La letteratura è cosa diversa dall’opera o dal testo letterario: è un’attività che comprende anche la critica, il dibattito sullo stile e sul rapporto tra società e scrittura, l’atmosfera in cui viene prodotto il testo artistico».
«Ha vissuto il 68 dalla parte dei contestatori, ha fatto parte del gruppo pisano di Potere operaio e per una decina d’anni è stato nella direzione di Democrazia proletaria accanto a gente come Vittorio Foa» (Paolo Di Stefano).
«Scrivere romanzi o poesia è soprattutto un’operazione di formalizzazione: voglio dire che l’autore conosce la realtà attraverso la forma della sua opera letteraria, dunque non ha bisogno di un impegno esplicito. Tuttavia, le grandi opere letterarie presuppongono un rapporto complesso con il mondo e in questo rapporto agiscono la componente morale, quella sociale, politica, civile, ideologica, eccetera».
Tra i suoi studi principali Verga e Montale. Tra i suoi saggi, «Verga moderno» e «Storia di Montale», editi da Laterza; «Breviario di critica» e «La fine del postmoderno» pubblicati da Guida. «Il mercato editoriale ha gonfiato la narrativa con micidiali estrogeni, anche quando la sua qualità era mediocre. Al romanzo d’autore si è sostituito il romanzo d’editore, quello nato da editing pensati a immagine e somiglianza dell’industria culturale e della pubblicità. Del resto, la narrativa italiana ha sempre avuto poco spazio nelle storie letterarie, e come qualità la poesia ha dato esiti ben maggiori».
Oggi gli intellettuali tacciono «perché non sono più in grado di leggere culturalmente la cronaca politica». Nel passato «Pasolini, Volponi, Fortini potevano avere una voce autorevole nella società civile perché le opere artistiche l’ avevano già conquistata proprio su questo campo. Ma un Eco che scrive Baudolino o un Tabucchi che scrive Tristano perché dovrebbero interessarci quando eventualmente ci parlassero del collateralismo Ds-cooperative?» [Cds 6/1/2006].
Dirige due riviste di teoria e critica della letteratura, “Allegoria” e “Moderna”, e il blog www.laletteraturaenoi.it.
Autore di L’età estrema (Sellerio 2008) e di L’uso della vita. 1968 (Transeuropa 2013): con quest’ultimo, ha vinto il premio “Volponi”. «Non credo, come Ferroni, che la letteratura sia finita, anzi».